«Le difficoltà del momento impongono un’azione comune per scrivere insieme in Italia e in Europa l’agenda dell’Economia sociale. Nel nostro paese il campo è molto ampio e plurale ma la cooperazione rappresentate dall’Alleanza delle Cooperative Italiane si esprime, in modo molto rilevante sia in termini sociali sia economici tanto da concorrere per l’8% allo sviluppo del Paese. Alleanza delle Cooperative con i lavori di oggi vuole affermare e ribadire la volontà di scommettere sulla possibilità di dar vita ad una grande Alleanza Italiana per l’Economia sociale e solidale».
Lo dice Maurizio Gardini, presidente di Alleanza Cooperative Italiane, anche a nome dei copresidenti Mauro Lusetti e Giovanni Schiavone introducendo il Manifesto sull’economia sociale che Alleanza Cooperative presenta oggi a Bologna dialogando, tra gli altri, con Nicolas Schmit, Commissario UE al lavoro e alle politiche sociali; Antonio Tajani, Presidente Commissione affari costituzionali Parlamento Europeo, Patrizia Toia, Copresidente Intergruppo economia sociale del Parlamento Europeo.
«Il manifesto vuole centrare due obiettivi uno legislativo l’altro di sensibilizzazione del dibattito pubblico. Il primo sarà promuovere un’iniziativa legislativa finalizzata al riconoscimento dell’economia sociale e solidale nel nostro Paese, adeguandoci alle più avanzate esperienze europee e secondo la definizione della Commissione europea, così come contenuto nel Piano di azione per l’economia sociale. Il secondo indirizzare il dibattito pubblico, con le istituzioni e non solo, sui temi dell’economia sociale, della consapevolezza e del rafforzamento del suo ruolo nel contesto italiano; anche realizzando momenti di incontro periodici che siano di confronto istituzionale, anche di livello internazionale, finalizzati a rappresentare le istanze dell’economia sociale italiana».
Di seguito il testo del Manifesto.
UN’ALLEANZA ITALIANA PER L’ECONOMIA SOCIALE
Per quasi tre decenni, a partire dagli anni Ottanta, sono prevalsi un pensiero e una pratica economica concentrati principalmente sulla costruzione di mercati competitivi, impegnati nella rimozione di ogni vincolo alla circolazione di beni e persone e nel costante ampliamento degli spazi per l’iniziativa d’impresa, intesa solo come impresa di proprietà di azionisti orientati alla massimizzazione dei profitti. E sul conseguente ridimensionamento dello Stato e delle sue funzioni.
Questa lunga stagione, dominata dall’idea che lo sviluppo economico e il benessere sociale fossero dipendenti soprattutto dal libero gioco delle forze di mercato e dalla motivazione del lucro monetario, è stata interrotta da quattro crisi in rapida sequenza. In poco meno di quindici anni, a partire dal 2008, si sono succedute: una recessione mondiale scatenata da una crisi finanziaria con pochi precedenti, la destabilizzazione dell’eurozona seguita da una reazione ispirata da rigide politiche di austerità, una pandemia che ha paralizzato società ed economie su scala globale, e il ritorno della guerra nel continente europeo.
Ciascuna di queste crisi singolarmente presa, ma soprattutto la loro concatenazione, ha riportato l’attenzione sul tema sociale e sui limiti che le sole forze di mercato incontrano nell’affrontarlo. Dopo un lungo predominio dell’individuo ha cominciato a riemergere un bisogno di socialità, come capacità collettiva di rispondere ai rischi e alle minacce cui siamo esposti. A questo bisogno di socialità si è provato a rispondere in modi diversi.
Da un lato, con surrogati tecnologici di reti sociali. Nonostante gli entusiasmi iniziali per la sharing economy e il “cooperative capitalism”, i legami sociali sono ancora indeboliti e l’offerta di social network è motivata dall’affermazione di interessi economici monopolistici piuttosto che da un autentico orientamento all’espressione di nuove forme di socialità. I fatti hanno smentito, per la gran parte, la fiducia riposta nelle piattaforme tecnologiche come fattore di risocializzazione delle nostre comunità.
Dall’altro lato si è risposto con il ritorno sulla scena dei poteri pubblici. In tutte e quattro le crisi l’autorità pubblica è stata chiamata ad ingenti interventi di ultima istanza, smentendo il paradigma secondo cui le società sarebbero gestite meglio se lo Stato fosse confinato in un ruolo limitato e di puro arbitraggio. La mano invisibile del mercato ha avuto bisogno dell’intervento della mano più che visibile dello Stato e dei suoi poteri. Ricordando con ciò a tutti che il governo delle società non può essere affidato soltanto alla libera iniziativa privata e al gioco degli interessi economici.
Tuttavia, questo ritorno dello Stato al centro della scena deve fare i conti, oltre che con la carenza di nuove risorse, con una sempre più marcata disaffezione per la vita pubblica da parte dei cittadini. Sono entrati in crisi i meccanismi di generazione della fiducia sociale e della riproduzione dei valori etico-culturali che ne sono alla base. La società si è corporativizzata, perdendo la capacità di riconciliare gli interessi particolari con l’interesse generale. La frammentazione sociale ha reso più fragile e instabile la rappresentanza istituzionale, con una conseguente minore efficacia dell’intervento dello Stato nel produrre soluzioni adeguate.
Per fronteggiare crisi, globali e sistemiche, come quelle vissute in questi anni serve, dunque, il concorso di risorse, idee e valori che sono fuori dalla portata dei soli meccanismi governati dallo Stato e dal mercato. Serve una visione dell’economia in sintonia con i bisogni delle persone, provate dalle crisi. Un modello di pensiero e di azione che si interroghi su come conciliare attività economiche, sviluppo sociale e sostenibilità ambientale. E che aiuti anche a superare la disaffezione verso la vita pubblica e a rimotivare la fiducia nelle istituzioni democratiche.
Perciò negli ultimi tempi è cresciuta sempre di più l’attenzione al ruolo dell’economia sociale, culminata di recente in inedite prese di posizione da parte di importanti istituzioni internazionali. Solo in quest’ultimo anno la Commissione europea ha lanciato il suo Piano di azione per l’economia sociale, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha deliberato una Risoluzione sul lavoro dignitoso e l’economia sociale e solidale, e l’OCSE ha approvato una Raccomandazione sull’economia sociale e solidale. In controtendenza rispetto agli orientamenti prevalsi per più di un quarto di secolo. Tre influenti istituzioni che, interpretando un movimento sempre più diffuso, stanno muovendosi in sintonia per promuovere l’economia sociale.
Ovvero – secondo una definizione sostanzialmente convergente – per promuovere quelle organizzazioni che, operando in una molteplicità di ambiti e nella differenza dei rispettivi contesti nazionali, condividono tre caratteristiche fondamentali: 1) il primato delle persone e dell’interesse sociale e/o ambientale sul capitale, 2) il reinvestimento di profitti ed eccedenze in attività di interesse dei membri o utenti (interesse collettivo) o della società nel suo complesso (interesse generale), e 3) forme di governance democratica e/o partecipativa.
Il concetto di economia sociale è così entrato a pieno titolo nel contesto delle politiche pubbliche, europee e di molti paesi del mondo, ed è un indirizzo destinato a influire a lungo sulle scelte future con conseguenze sia sulle policy sia sull’allocazione delle risorse finanziarie. All’economia sociale si riconosce un ruolo di primo piano sia in questa fase di rilancio sia negli anni di transizione che seguiranno. Questo significa, in concreto, un ruolo sempre maggiore per tutte le forme organizzative che fanno parte dell’economia sociale: cooperative e mutue, associazioni non profit, fondazioni ed enti filantropici, imprese sociali.
In Italia il ruolo dell’economia sociale non è ancora riconosciuto e visibile, malgrado le entità che la compongono svolgano funzioni e abbiano numeri più rilevanti che in altri paesi. Ciò accade nonostante l’Italia abbia una legislazione, riferita all’ambito dell’economia sociale, decisamente avanzata e coerente con la definizione europea che, nel caso della cooperazione italiana, appunto, è anche di rango costituzionale.
Il periodo positivo che l’economia sociale sta vivendo in Europa e nel mondo, l’attenzione che riscuote come modello al quale guardare per riorientare lo sviluppo sociale ed economico dopo le crisi di questo ultimo decennio, comportano una grande responsabilità. È un momento che non può essere mancato, un’opportunità che non va persa, a maggior ragione nella prospettiva del 2023, quando è annunciata una Raccomandazione del Consiglio Europeo sull’Economia Sociale che potrebbe già indirizzare verso provvedimenti attuativi.
In Italia, l’occasione va colta per collegarsi a quanto si muove altrove, per sintonizzare concetti e linguaggi, per creare le condizioni di un riconoscimento e una visibilità dell’economia sociale da cui tutte le sue componenti, ma soprattutto le comunità in cui operano, possano trarre vantaggio. È un momento di un’azione comune per avere una voce più forte anche perché in Italia l’Economia sociale è un campo molto ampio e plurale dove si esprimono, in modo molto rilevante, le cooperative, che sono rappresentate per la gran parte dall’Alleanza delle Cooperative Italiane. L’apporto delle stesse in termini economici e sociali allo sviluppo del Paese è noto in tutti i settori economici, dall’agroalimentare alla grande distribuzione e consumo, dalle cooperative di lavoro a quelle della pesca, dai servizi alle imprese e territorio al welfare sociale e sanitario, dall’abitazione alla cultura e turismo, dallo sport alle costruzioni, dall’assicurativo al credito cooperativo, alle cooperative di utenti e alle cooperative di comunità, ai Workers Buyout e alle cooperative che gestiscono i beni confiscati.
Per questo Alleanza delle cooperative italiane si rivolge, a tutti quei soggetti che si riconoscono nei contenuti di questo manifesto, per lavorare insieme, affinché si possa:
- promuovere un’iniziativa legislativa volta al riconoscimento dell’economia sociale e solidale nel nostro Paese, adeguandoci alle più avanzate esperienze europee e secondo la definizione della Commissione europea, così come contenuto nel Piano di azione per l’economia sociale,
- stimolare e indirizzare il dibattito pubblico, con le istituzioni e non solo, sui temi dell’economia sociale, della consapevolezza e del rafforzamento del suo ruolo nel contesto italiano; anche realizzando momenti di incontro periodici che siano di confronto istituzionale, anche di livello internazionale, finalizzati a rappresentare le istanze dell’economia sociale italiana.
Il processo fin d’ora avviato potrà anche contribuire ad individuare modalità organizzative più adeguate ed utili per rappresentare tutti i soggetti che operano nel mondo dell’economia sociale e solidale italiana, al fine di essere sempre più attivi e inclusivi nella rappresentanza dell’economia sociale per renderla ancora di più protagonista di uno sviluppo solidale del Paese e al servizio dei bisogni delle sue comunità e territori , anche promuovendo un riconoscimento di strumenti di sostegno e legislazione ad hoc che la valorizzi.
Alleanza delle cooperative italiane, promuovendo tale iniziativa, vuole altresì affermare e ribadire che, pur nella distinzione essenziale tra soggetti imprenditoriali (che noi vogliamo rappresentare ed aventi cioè lo status di “imprese” in senso stretto in quanto iscritte al Registro delle imprese) e soggetti non imprenditoriali , la posta in gioco – per il futuro del Paese- è talmente alta da portarci a scommettere sulla possibilità di dar vita – insieme – ad una grande Alleanza Italiana per l’Economia sociale e solidale, frutto del confronto tra tutti questi soggetti.