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Ha ancora senso parlare di innovazione?

È bello che in Italia, e nel mondo cooperativo, si parli di Innovazione. Il problema è che non basta parlarne: bisogna farla.

L’innovazione, in qualunque fattispecie sia declinata, digitale, tecnologica, organizzativa, sociale, rappresenta una tematica di estrema attualità, ricca di sfaccettature variegate e da cui dipende in larga parte il futuro del nostro tessuto imprenditoriale, nessuno escluso.

L’innovazione rappresenta in primo luogo una sfida culturale, un cambio di passo nell’approccio al proprio agire, mettendo in discussione modelli e prassi del passato, rivedendo vecchi o nuovi bisogni in un contesto profondamente mutato ed in continua evoluzione, imparando a “disimparare”.

L’innovazione è apertura, è confronto, è ascolto di esperienze apparentemente eterogenee, è prassi di lavoro, in cui le singole persone, ogni giorno, ogni istante, sono spronate e stimolate a rivedere le proprie azioni in ottica evolutiva.

L’innovazione non è solo “invenzione”, sporadica, isolata, quanto piuttosto un percorso quotidiano, fatto di errori, tentativi, scommesse ponderate, apprendimento continuo. Se infatti è vero che le persone più illuminate commettono pochi errori, è tuttavia necessario commettere molti errori per essere illuminati.

L’innovazione non è confinabile in una singola area aziendale, pur indispensabile per coordinare uno o più processi, ma un approccio diffuso, viscerale, permeato nell’organizzazione.

Per innovare serve entusiasmo, servono persone motivate e preparate, servono dinamiche agili che rendano possibile ed economicamente efficiente investire in “cose nuove” e rischiose.

Parafrasando l’ottimo Massimo Gramellini, per fare un passo avanti, e l’innovazione è un deciso passo avanti, occorre perdere l’equilibrio per un attimo, lasciandosi guidare da istinto e passione.

L’azienda veramente innovativa è quella che investe ogni singolo giorno in innovazione, creando un contesto lavorativo idoneo all’emersione di nuovi stimoli, nuove sollecitazioni, nuove sfide. Il suo modus operandi è contraddistinto dall’investire nella formazione del proprio personale, creando le condizioni perché ognuno possa offrire il proprio contributo, esprimendo il meglio di sé stesso, favorendo il confronto, la contaminazione, l’arricchimento reciproco.

L’innovazione necessità di un contesto “ambientale” attrattivo, in grado di richiamare cervelli, talenti, professionalità. Servono strutture formative all’avanguardia, corsi di specializzazione di altissimo livello, facoltà universitarie e laboratori di ricerca sempre più connessi al tessuto industriale locale e globale. Le aziende (e le cooperative) dovrebbero cogliere la rilevanza strategica di investire in progetti di “territorio”, in grado di accrescere fortemente la competitività e l’attrattività dello stesso, così da creare quel valore aggiunto, solo apparentemente intangibile, capace di insinuarsi visceralmente nella società, nella cultura, nell’industria.

Parlare di innovazione comporta la necessità di ragionare in ottica trasversale, poiché essa plasma indistintamente ogni ambito, economico, sociale, culturale.

Pensiamo per un attimo all’innovazione digitale, o meglio “trasformazione digitale”, una vera e propria rivoluzione di senso, un cambio di paradigma, una ridefinizione dei tradizionali punti di riferimento.

Concetti quali Big Data, Intelligenza Artificiale, Internet of Things (IoT), Social Media, Sharing Economy, Blockchain, Machine Learning, Industry 4.0, dovrebbero e dovranno entrare assiduamente nel nostro vocabolario quotidiano.

Trasformazione digitale è un concetto che descrive l’impatto rivoluzionario, trasformativo, delle nuove tecnologie sulla società, sul business, sulle relazioni, sulle città, su ogni singolo aspetto e sfaccettatura della nostra esistenza.

È un fenomeno esogeno alle organizzazioni, che non dipende dalla nostra volontà. Si può scegliere di cavalcare il fenomeno, sfruttandone le opportunità, oppure subirne gli impatti negativi passivamente, soccombendo.

La vera sfida nel mondo cooperativo è promuovere una cultura aziendale in cui l’innovazione divenga precisa strategia competitiva, connotato distintivo di ogni singola area funzionale, prassi consolidata di lavoro incentrata sulla ricchezza delle diversità e delle competenze.

Appare fondamentale partire dalla conoscenza, dalla consapevolezza, dalla formazione delle persone, superando la barriera, anche linguistica, tra “addetti ai lavori” e “decision maker”, evidenziando i benefici che i percorsi di innovazione possono portare al business aziendale.

Parimenti è cruciale la costruzione di un “ecosistema” economico/sociale/culturale attrattivo, in grado di richiamare talenti, eccellenze, capacità, capitali.

Non è un caso poi, che le aziende più innovative siano quelle che affrontano con più prontezza i mercati esteri, dove possono incontrare avanguardie e eccellenze settoriali da utilizzare come continuo stimolo di miglioramento.

L’innovazione, per la complessità, la portata e la trasversalità che la contraddistinguono, richiede spesso un agire sistemico, in cui i singoli nodi del tessuto cooperativo potrebbero rappresentare distintività peculiari il cui valore crescerebbe esponenzialmente se messo a sistema.

Le cooperative avvertono bisogni ben precisi, ma spesso faticano ad uscire dalle specificità del proprio ambito settoriale, operando in ottica verticale, per comparti stagni.

Un paradigma da affrontare, del tutto coerente ai principi cooperativi, alla “mutualità” cooperativa, alla “intergenerazionalità” tra cooperatori, è lo sviluppo di percorsi di “Open Innovation”.

Essa consiste, molto semplicemente, in un approccio all’innovazione nel quale le imprese si basano (anche) su idee, risorse e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, in particolare da startup, università, enti di ricerca, fornitori e consulenti.

L’open innovation unisce grande e piccola impresa in una relazione di partnership che mantiene le sane dinamiche cliente-fornitore (ovvero qualcuno che produce un prodotto/servizio e qualcuno che ne ha un reale interesse), assicurando flessibilità e tempestività sul fronte delle realtà più strutturate ed adattabilità, elasticità, capacità di acquisire competenze, sul fronte delle organizzazioni più piccole.

La cooperazione, e con essa le sue associazioni di rappresentanza, deve prioritariamente “accompagnare” le proprie realtà verso la “consapevolezza” della trasformazione in atto, cercando di creare un ecosistema dell’innovazione fatto di relazioni strutturate tra cooperative, centri di ricerca, università, in cui l’innovazione rappresenti un filo conduttore attorno al quale costruire progetti condivisi, professionalità, obiettivi da raggiungere. Nel farlo deve sfruttare anche le assonanze che stanno alla base delle nuove tecnologie con i valori cooperativi, come la condivisione, la partecipazione, il protagonismo diffuso, l’agire in rete, il rispetto di ogni singolo nodo. Serve però un linguaggio condiviso, comprensibile da tecnici e classi dirigenti, serve cultura, serve lungimiranza, serve coraggio, serve comprendere quanto sia ancora innovativo il concetto primitivo “cooperare è meglio che competere”.

Le cooperative devono assimilare il ruolo strategico dell’innovazione quale volano imprescindibile di sviluppo, specialmente in ottica di progressiva apertura ai mercati internazionali, vero teatro di competizione nei prossimi anni.

L’innovazione impone il coraggio di investire pesantemente in risorse, umane, finanziarie, organizzative. Senza questo slancio, in primis culturale, parlare di innovazione non ha alcun senso.

Perché “l’innovazione è trasformare confini certi in frontiere dinamiche”.

di Matteo Pellegrini, pubblicato su www.coopstartup.it